Proposte presentate da una delegazione di VeronaPolis (Giorgio Massignan, Alberto Ballestriero e Guido Zanderigo) al Comune di Verona, nel corso dell’incontro avvenuto lo scorso martedì 12 marzo con l’assessora alla pianificazione territoriale, avvocata Barbara Bissoli, il capo gabinetto del sindaco ed i componenti dello staff tecnico incaricato di redigere il nuovo P.A.T. (Piano Assetto Territoriale).
Negli ultimi 15 anni, le passate amministrazioni avevano scelto di programmare l’uso del territorio attenendosi alle proposte di investimento degli operatori economici privati.
Ovviamente, le richieste degli imprenditori erano relative alle destinazioni d’uso che producevano maggior reddito, con il risultato che Verona abbonda di centri commerciali, direzionali e di progetti di futuri alberghi: scelte e interventi estranei ad una corretta programmazione del territorio.
Verona ha bisogno di un tipo di pianificazione che comprenda complessivamente e organicamente i sistemi: economico-produttivo, residenziale, dei servizi, del verde, dei parchi, della mobilità, della cultura e degli edifici storico-monumentali.
In particolare sarà importante definire:
1) Il consumo di suolo. Se, come da tempo si rileva, uno dei progetti più importanti che l’amministrazione sembra voler approvare, è il polo logistico della Marangona, un’area agricola ancora integra, la città continuerà ad espandersi e il consumo di suolo proseguirà.
2) La rigenerazione. A Verona sud, ci sono varie aree industriali dismesse, che i proprietari intendono destinare ad uso logistico.
La loro utilizzazione, con quanto previsto alla Marangona, eviterebbe il consumo di altro suolo e la rigenerazione di quelle aree sarebbe ugualmente funzionale allo sviluppo del Quadrante Europa.
3) La città policentrica. Nella realtà, si sta rafforzando il ruolo del Centro Storico quale luogo di servizi alberghieri e di consumo turistico, e non abitativo, decentrando le residenze all’esterno.
Si sente quindi la necessità della stesura di un piano d’uso delle caserme, con la riconversione di una loro parte a destinazione residenziale, accompagnata dalla definizione di una o più aree destinate alle botteghe commerciali tipiche del territorio e artigiane, che non si possono permettere i canoni d’affitto imposti dalle logiche di mercato delle grandi catene commerciali.
Inoltre, se sarà realizzato il Piano Folin della Fondazione Cariverona, con il relativo hotel in deroga, si perderà l’occasione di realizzare, in alcuni di quegli edifici, uno studentato e degli appartamenti a canone convenzionato, in grado di riportare in centro le giovani coppie, e sarà ulteriormente acuita la mancanza di residenti, oltre a creare un pericoloso precedente con l’uso inopportuno della deroga e della legge “Sblocca Italia”.
Lo stesso, ma al contrario, è accaduto nell’area dismessa dei Magazzini Generali di proprietà della Fondazione Cariverona che, da cittadella della cultura, si è trasformata nell’ennesima area commerciale e direzionale, vanificando l’idea di realizzare una porzione di città a Verona Sud, com’era auspicabile.
4) La pianificazione partecipata. Il rischio è che stia iniziando un metodo di ascolto, più che di reale partecipazione ai lavori e alle conseguenti scelte d’uso del territorio.
Il laboratorio, dove saranno prese le decisioni, dovrebbe comprendere anche una consulta degli abitanti piuttosto che soli tecnici incaricati dalla pubblica amministrazione, che avranno il ruolo di ascoltare le proposte e le critiche della popolazione, ma non di farla partecipare attivamente al processo di formazione degli strumenti di pianificazione.
Per evitare tale rischio e per dare piena attuazione al programma di questa amministrazione, appare urgente adottare un regolamento comunale che definisca con precisione le modalità per esplicare una reale pianificazione partecipata.
Sarebbe necessario:
1) Ridurre i mq di S.U.L. (superficie utile lorda) previsti dalla Variante 29.
Con un saldo demografico negativo e circa 15.000 appartamenti sfitti, non è opportuno prevedere altri 95.000 mq di residenziale; così come sono eccesivi i 75.000 mq di commerciale; i 62.000 mq di direzionale e i 42.000 mq di turistico ricettivo.
2) Evitare di utilizzare in modo improprio lo Sblocca Italia e l’uso della deroga.
3) Destinare le caserme e gli altri edifici dismessi a:
3a) edilizia convenzionata, per riportare le famiglie giovani ad abitare nel Centro Storico;
3b) residenze per studenti per rispondere ad un’evidente esigenza della nostra università.
4) Definire le scelte d’uso delle aree dismesse, non sulla base delle manifestazioni di interesse degli operatori economici privati, ma delle oggettive necessità ed esigenze del territorio e dei suoi abitanti.
5) Redigere un piano regolatore sulla tipologia, la proprietà e la rivalutazione fisica e funzionale degli edifici storici della nostra città, per poi definirne le destinazioni d’uso.
6) Utilizzare i circa 15.000 appartamenti sfitti, anche attraverso incentivi per il restauro o la ristrutturazione e oneri fiscali per coloro che li lasciano colpevolmenti vuoti.
7) Adottare nel nuovo PAT il consumo 0 del suolo e la riqualificazione delle periferie.
In Italia è necessaria una legge sul regime dei suoli.
L’Italia ha una densità di popolazione pari a 206 abitanti per km quadrato; la media europea è di 113; quella del pianeta 48.
Considerato che il nostro paese è formato per circa il 35% da montagne, per circa il 42% da colline e per circa il 23% da pianure, la salvaguardia del suolo dovrebbe rappresentare un preciso dovere, tutelato da apposite leggi.
Ma non è così, anzi, è proprio il contrario. Da decenni si sta discutendo la formulazione di una legge che limiti il consumo di suolo, ma senza risultati.
Si era iniziato con il progetto di legge del ministro democristiano Fiorentino Sullo del 1963, per concludere con il disegno di legge presentato dal ministro Mario Catania nel 2012.
La mancanza di una adeguata legge quadro, ha provocato la cementificazione di circa 21.500 chilometri quadrati di suolo nazionale.
Va osservato che oltre il 70% delle costruzioni si registrano nelle aree cittadine, che avrebbero invece la necessità di essere rigenerate.
In Italia ci sono oltre 310 km quadrati di edifici fatiscenti e non utilizzati.
Da considerare che la nostra regione, a scala nazionale, ha la maggior superficie di edifici rispetto al numero di abitanti, 147 mq/abitante, e un numero eccessivo di capannoni non utilizzati.
Nonostante gli urbanisti sostengano, da anni, che è indispensabile bloccare l’espansione urbana, sinora, a livello legislativo, si è fatto ben poco e si continua a perseguire un vecchio modello di sviluppo che:
1) sta devastando l’ambiente, mettendo a rischio l’equilibrio idrogeologico;
2) riduce la nostra autonomia alimentare;
3) danneggia la biodiversità.
Risulta doveroso che il settore urbanistico ed edilizio superi il concetto del profitto a tutto campo, per introdurre i valori della sostenibilità, dell’equità, della tutela ecologica e della solidarietà.
La Regione Veneto
Il 6 giugno del 2017, la Regione Veneto approvò la legge n. 14, per un processo di revisione sostanziale della disciplina urbanistica, ispirata ad una nuova coscienza delle risorse territoriali ed ambientali, finalizzata alla riduzione progressiva del consumo di suolo non ancora urbanizzato, coerentemente con l’obiettivo europeo di azzerarlo entro il 2050.
Infatti, la legge 14, prevede la riqualificazione edilizia ed ambientale e la rigenerazione urbana, comprensiva della demolizione delle opere incongrue e di degrado e della riqualificazione del patrimonio edilizio dismesso.
Ma, nonostante questa legge regionale, il territorio veneto non è stato tutelato e il cemento e l’asfalto hanno continuato a sostituire le aree verdi.
Il Veneto, secondo il rapporto di Ispra, (Istituto superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), è la regione, dopo la Lombardia, dove si consuma più suolo in Italia e, tra il 2021 e il 2022, si sono consumati 217.825 ettari, peggiorando del 34% il consumo dell’anno precedente.
Il Veneto, è anche la regione italiana con la maggior superficie di edifici rispetto al numero di abitanti (147 mq/ab), e non poche aree sono dismesse.
Le opere che vengono realizzate sono soprattutto grandi infrastrutture viabilistiche, poli logistici, commerciali e direzionali e, negli ultimi tempi, si sono aggiunti i pannelli fotovoltaici a terra.
Verona è, dopo Venezia, la città del Veneto ad avere avuto tra il 2021 e il 2022 il maggior consumo di suolo.
I meccanismi della pianificazione urbanistica
Il grimaldello per continuare a costruire e consumare suolo verde, nonostante la legge regionale, sono le deroghe previste per le opere pubbliche e/o di utilità pubblica.
Oppure, la giustificazione di un possibile aumento dell’occupazione.
Ma, gli impianti produttivi che creano nuovi posti di lavoro, non si dovrebbero ottenere a scapito delle aree verdi e dell’economia agricola, ma con una corretta e oggettiva pianificazione urbanistica, economica e sociale, e indicando le aree dismesse dove insediare i nuovi centri produttivi.
Verona ne avrebbe molte a disposizione; inoltre, risulta sbagliato e antieconomico mantenere complessi edilizi vuoti e inutilizzati che occupano spazio inutilmente.
Il vero ruolo della pianificazione è proprio quello di affrontare le esigenze della collettività, individuando le risposte più adatte nel patrimonio non o sottoutilizzato del territorio, salvaguardando dal cemento e dall’asfalto le aree verdi e/o inedificate.
Con la cosiddetta urbanistica contrattata, si è permesso agli investitori privati, attraverso le manifestazioni d’interesse, di scegliere le destinazioni d’uso a loro più redditizie, senza considerare le reali esigenze economiche e sociali della città.
La conseguenza è stata una bulimia di centri commerciali, direzionali, alberghieri ed ora logistici.
Ma, per migliorare la programmazione del territorio, è necessario e indispensabile bloccare il rapporto tra politica e affari, che ha determinato le scelte urbanistiche del passato, e utilizzare un metodo di pianificazione realmente partecipata e non solo di ascolto.
Un metodo che permetta ai cittadini, attraverso propri rappresentanti e facilitatori tecnici, di intervenire concretamente negli studi e nella stesura delle scelte d’uso del territorio, trasformandosi in tal modo da utenti a soggetti attivi nella progettazione urbanistica.
Ma, per attuarlo, c’è bisogno della volontà politica degli amministratori e l’assenza di forti pressioni da parte di potenti protagonisti esterni, interessati a influenzare le decisioni, senza doversi confrontare con gli esponenti della cosiddetta società civile.
La Marangona
A Verona, si sta elaborando il nuovo PAT e sarebbe necessario che non prevedesse altro consumo di suolo, ma incentivasse la riqualificazione degli edifici vuoti e delle aree dismesse.
Se risulta doveroso che la nostra città sviluppi ulteriormente il suo storico ruolo di grande centro logistico europeo, sfruttando anche le opportunità offerte dal Quadrante Europa, è altrettanto fondamentale destinare a logistica le aree dismesse considerate idonee per un tale utilizzo e non consumare altro suolo verde.
L’area agricola della Marangona, che da decenni è considerata una zona in attesa di essere utilizzata dovrebbe, altresì, essere conservata nella sua attuale funzione.
Si tratta di un’area agricola di circa 1 milione e mezzo di mq a sud-est del Centro di Verona, in gran parte di proprietà del Consorzio Zai, che da 40 anni è oggetto di vari progetti con diverse proposte d’utilizzo.
Ma, la situazione economica e ambientale degli anni ’80 era molto diversa dall’attuale e non c’erano capannoni ed edifici industriali inutilizzati.
Ora, si vorrebbero realizzare magazzini ad uso logistico, con un enorme consumo di suolo, nonostante la presenza di aree industriali dismesse a poca distanza.
La Z.A.I. (Zona Agricola Industriale), definita nel secondo dopoguerra per sviluppare il settore industriale dell’economia veronese; negli anni ha subito una disordinata e non pianificata terziarizzazione, con gravi conseguenze sull’equilibrio urbanistico e architettonico.
In questo contesto, il cambiamento della ZAI non ha seguito un corretto processo urbanistico, ma ha subito la modifica dell’economia e le conseguenti scelte del mercato immobiliare.
Tutto questo, ha spinto la trasformazione della zona da industriale a terziaria, commerciale e direzionale, provocando l’aumento delle aree industriali dismesse, in attesa di un’opportuna riqualificazione.
Alcune sono state o stanno per essere recuperate, tra queste: le ex Officine Adige, gli ex Magazzini Generali, l’ex Manifattura tabacchi ed altre ancora.
Ma, purtroppo, le nuove destinazioni d’uso delle zone industriali riqualificate o in fase di riqualificazione, sono state dettate dalle convenienze economiche degli investitori privati che, attraverso le “manifestazioni d’interesse”, hanno evitato che fosse attuata una pianificazione organica collegata con l’intero territorio comunale.
Ovviamente, questi interventi sono risultati convenienti, almeno per l’immediato, per le casse comunali, ma non è stato valutato il disequilibrio urbanistico che stanno provocando e i costi necessari a correggerlo in futuro.
Il nuovo PAT, dovrebbe tenere presente la discreta concentrazione di aree e di stabili dismessi a
Verona Sud, e quindi non cementificare le ultime aree verdi rimaste, ma pianificare una corretta riqualificazione delle aree degradate e degli edifici dismessi, permettendo alla città e a Verona sud in particolare, di mantenere integra la grande area agricola della Marangona.
Sarebbe poi opportuno prevedere un suo collegamento con la fascia di verde che congiunge i forti austriaci extra moenia, da Parona al Pestrino, iniziando così a progettare un sistema del verde che comprenda lo scalo merci della ferrovia, la Spianà e i parchi dell’Adige, delle mura e della collina.
I poli logistici esistenti e in fase di realizzazione
Per capire se e quanti poli logistici possano ancora servire all’economia del territorio veronese, sarebbe necessario verificare quelli già in opera o previsti, tra cui:
– Verona: 1) il nuovo Parco Logistico Verona posizionato lungo la SS434, in prossimità dell’uscita dell’autostrada A4;
2) il previsto nuovo polo logistico in zona Sacra Famiglia;
3) il nuovo e grande hub logistico che dovrebbe sorgere nell’ex area Biasi.
– Oppeano: a circa 17 km a sud di Verona, si sta sviluppando ulteriormente il polo logistico.
– Vigasio: si sta allargando un centro per la logistica a breve distanza dall’accesso all’A22 del Brennero e all’intera rete autostradale del Nord Italia.
-Villafranca: vicino all’ Aeroporto Catullo si sta costruendo un nuovo polo logistico, che si aggiunge a quello esistente.
– Nogarole Rocca: si è consolidato un polo logistico.
Riqualificazione degli edifici e delle aree dismesse
Il comparto dell’edilizia non può basarsi sulle nuove costruzioni, continuando a sprecare grandi porzioni di aree verdi; ma, può e deve rilanciarsi, recuperando gli stabili abbandonati, riqualificando intere parti urbane obsolete, liberando il territorio dagli edifici inutilizzati ed impattanti negativamente sul paesaggio e mettendo a sicurezza gli stabili privati e pubblici, oltre a quelle parti di territorio soggette ad esondazioni, frane ed altri fenomeni naturali.
Ricordo che la Corte dei Corti, nella deliberazione del 31 ottobre 2019, ha denunciato che le risorse economiche, per intervenire contro il dissesto idrogeologico giacciono, colpevolmente, inutilizzate. Rammento anche che la rinaturalizzazione dei territori è quanto chiede l’Europa, con l’obiettivo della Land Degradation Neutrality, prevista dall’agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.
Infatti, gli Stati membri devono prevedere sia l’azzeramento della cementificazione, sia l’aumento delle superfici naturali, che vanno sottratte all’urbanizzazione.
Ipotesi che non sono contro lo sviluppo, ma che lo dirigono verso un modello di lavoro sostenibile, per noi e per l’ambiente.
Faccio mia una proposta del Forum Salviamo il Paesaggio, ripresa dalla senatrice Paola Nugnes, ora nel gruppo misto, che invita: “… a livello di pianificazione comunale generale, la strutturazione di due banche dati; la prima, relativa ai suoli e alla loro capacità di fornire servizi ecosistemici;
la seconda, relativa al riuso del patrimonio immobiliare esistente e delle aree dismesse da riutilizzare…”
Riporto quanto afferma l’Istituto Superiore per l’ambiente: “i danni economici provocati dall’eccesso di cementificazione, sono quantificati tra i due e i tre miliardi di euro all’anno”.
Considerazioni sul Centro Storico e sul Piano Folin della Fondazione Cariverona
Da molto tempo sostengo la necessità di pianificare la valorizzazione ed il corretto uso degli edifici storici e monumentali, che hanno rappresentato la storia della nostra città, in un contesto organico con l’intero territorio del comune di Verona.
Prima di definire le destinazioni d’uso dei vari complessi edilizi, sarebbe stata necessaria una completa mappatura degli immobili storico monumentali, sia pubblici che privati e di quelli di proprietà dei demani militare e civile, per capire quali risposte avrebbero potuto fornire alle necessità della città.
Nelle diverse analisi urbanistiche del passato e nelle conseguenti scelte, quasi mai è stato preso in adeguata considerazione l’utilizzo che le volumetrie degli edifici storici avrebbero potuto offrire, per evitare, o quanto meno diminuire, la cementificazione di altro suolo, con l’ulteriore sfrangiamento ed allargamento dei confini della città.
Per quanto riguarda il Centro Storico, il problema maggiore è il graduale abbandono dei residenti.
In 80 anni, la popolazione è passata da 150.000 abitanti agli 8.000 attuali; si sono persi 142.000 abitanti.
Da alcune analisi, si evince che nel periodo 2008-2016, nel centro storico, la popolazione residente è diminuita del 9%; le unità commerciali del 18%; mentre le presenze turistiche sono aumentate del 20%.
Questo significa che il centro storico di Verona si sta trasformando da zona residenziale, con i relativi servizi, ad un’area di consumo turistico con offerte commerciali, alberghiere, congressuali e di animazione notturna.
Ma, anziché cercare di invertire questo il processo di abbandono dei residenti, si pianificano altre destinazioni commerciali, direzionali, congressuali, alberghiere e di consumo turistico, ma non abitative.
La Fondazione Cariverona, qualche tempo fa, ha incaricato l’architetto Marino Folin, di stendere un piano per l’utilizzo dei palazzi storici di proprietà della Fondazione stessa, tra cui quelli che erano stati venduti alla Fondazione durante la giunta comunale guidata dal sindaco Flavio Tosi.
In deroga alle norme urbanistiche e utilizzando lo strumento legislativo “Sblocca Italia”, la Fondazione vorrebbe trasformare le ex sedi di Unicredit in via Garibaldi 1 e 2 e il palazzo Franco-Cattarinetti in via Rosa, in un centro polifunzionale, con un grande hotel a cinque stelle di 140 camere, un centro congressi, una spa e un centro enogastronomico.
Da notare che i parcheggi, per ottenere la concessione per l’hotel, sono stati trovati nell’area degli ex Magazzini Generali, in ZAI.
Da considerare che, intervenire con lo strumento della deroga ai piani urbanistici vigenti, potrebbe creare un pericoloso precedente per altre richieste di cambi di destinazioni d’uso, più redditizie per gli investitori, ma peggiorative per l’equilibrio economico e sociale della città.
Nel Piano Folin sono inoltre previste le creazioni di musei laboratori al palazzo del Capitanio in piazza Dante ed a Castel San Pietro, mentre Palazzo Forti dovrebbe ospitare una serie di attività culturali e di alta formazione e nell’edificio del Monte di Pietà, saranno organizzati degli spazi per attività di ricerca e innovazione.
Attualmente, le presenze turistiche all’anno sono circa 2.300.000 e i giorni medi di permanenza 2.
Verona attrae un grande numero di turisti, che però sono del tipo “mordi e fuggi” e solo una piccola parte pernotta per più giorni.
Il tentativo di trasformare parte del turismo di passaggio, in un modello che accresca la permanenza in città, è certamente necessario.
L’ipotesi di aumentare gli spazi culturali risulta positiva per la valorizzazione del centro storico, anche se non si sta intervenendo nel contesto più importante e significativo per la cultura veronese, quello relativo al Grande Museo di Castelvecchio ampliato degli spazi ora occupati dal Circolo Militare Unificato, e il grande complesso dell’Arsenale.
I musei, i laboratori culturali, il sistema museale, sono ipotesi apprezzabilissime ed auspicabili, ma chi li finanzia e ne paga la gestione? Non certo il Comune, che mi pare abbia le casse vuote. La Fondazione? I Fondi europei? Chi altro? Sui finanziamenti per realizzare le strutture a scopo culturale e sulla loro gestione, non si è detto molto.
Il mio timore è che vengano realizzate solamente le opere che producono guadagni, causando grossi problemi di viabilità e conseguenti costi alla Pubblica Amministrazione, mentre i contenitori adibiti alla cultura rimarranno vuoti in attesa di qualche improbabile mecenate oppure, più facilmente, messi sul mercato immobiliare per realizzare un ritorno economico.
Nonostante, “abitare il centro storico”, sia il primo obiettivo del piano Folin, gli interventi sono tutti relativi a scelte commerciali, direzionali, congressuali, alberghiere e culturali.
A mio parere, queste opzioni non freneranno il processo di abbandono degli abitanti, anzi, lo stimoleranno. Venezia docet.
Con certe scelte, si rischia di ridurre il centro storico di Verona in una grande area specializzata al consumo turistico, priva di residenti.
Proporre musei, spazi espositivi e laboratori culturali e di ricerca, potrebbe essere un vecchio metodo per non definire specificatamente nulla e quindi non vincolarsi a opzioni specifiche e definitive.
Le sole scelte chiare sono il nucleo polifunzionale con il centro congressi, quello alberghiero e lo spazio enogastronomico. Attività finalizzate a produrre reddito.
Ma, limitarsi alla programmazione del solo patrimonio della Fondazione, relega il cosiddetto piano Folin, ad una scala puntuale sui singoli elementi architettonici, eludendo l’imprescindibile ed auspicabile scala urbanistica globale.
Per poter analizzare in modo adeguato ed urbanisticamente corretto, le potenzialità che possono offrire i manufatti storici in rapporto con l’intero territorio, sarebbe stato opportuno non limitarsi ai sette complessi di proprietà della Fondazione, ma ampliare lo studio e la relativa pianificazione anche a tutti i contesti edilizi storici appartenenti al Comune, alla Provincia ed ai vari demani statali.
Le caserme, i forti, la stessa cinta fortificata e i palazzi rimasti di proprietà pubblica, avrebbero dovuto essere studiati e quindi pianificati assieme ai sette edifici della Fondazione, in un disegno complessivo ed organico.
Il Master Plan della Fondazione dovrebbe rappresentare solo una tessera di un mosaico organico e complessivo dell’intero territorio.
Inoltre, un Piano Particolareggiato del Centro Storico, dovrebbe essere gestito dalla Pubblica Amministrazione, che ha il diritto/dovere di tracciare le linee guida a cui le pianificazioni dei privati si devono attenere.
La Fondazione Cariverona è un ente privato e, pur essendo stato benemerito, non può sostituirsi a quelli che sono i diritti e i doveri della Pubblica Amministrazione, democraticamente eletta.
Invece, sta avvenendo esattamente il contrario e sarà la Pubblica Amministrazione a dover seguire le scelte d’uso fornite da un privato e adeguare, di conseguenza, la pianificazione pubblica.
Giorgio Massignan (Veronapolis)
Zona Pestrino, è dal 2010 che chiedo di realizzare una sosta camper. Il progetto è quello di mantenere 7500 mq al verde ben piantumato, oltre sosta camper brevi, per chi viene a fare visita in città, nel progetto c’è anche in servizio e-bike – bike con colonnina corrente e attrezzi un servizio gratuito realizzando tavoli e panche per il Pic nic. Il terreno di mia proprietà è dove passa la ciclabile e il nuovo ponte che attraversi il canale camuzzoni per arrivare zona Amia e di conseguenza in città. Il mio appezzamento unico verde boscaglia, di terreno riportato e non di qualità con tratti sotto asfalto, e chi lo aveva prima, aveva costruito una casa che il comune ha fatto demolire dopo decenni, rimanendo le fondamenta. I terreni a lato hanno tutti delle costruzioni e questo sarebbe il parco Adige sud. Si è pensato di autorizzare a costruire 28 appartamenti dove c’era la demolizione, ma in 13 anni che chiedo non dando buste a nessuno mi hanno sempre negato il progetto. Si pensi alla sosta camper di porta palio dove è realizzata su asfalto e in centro per aumentare il traffico. Verona manca di pianificazione sosta camper e non meno importante il servizio di scarico e carico acque, diversamente piccoli comuni come san Giovanni Lupatoto, san Martino, Cerea ecc. hanno questo servizio gratuito. Il camperista ama la natura e non l’asfalto e in mezzo allo smog e rumore come è Porta Palio. Dunque mi auguro che questa amministrazione prenda in considerazione la mia proposta, cambiando da agricolo a recettivo il terreno perché si possa realizzare un vero parco usufruibile dai cittadini e visitatori di Verona. Ovviamente qualsiasi idea che l’amministrazione vorrebbe portare in tale progetto è ben accettata. Negli anni sono stati ascoltati solo i palazzinari.